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"Una
serie di tonfi impressionanti svegliò A. da un sonno profondo. Per
un attimo non seppe distinguere il sogno dalla realtà. Nel sogno una
campana stava rintoccando a morto e tutti gli abitanti di una città
sconosciuta interrompevano quello che stavano facendo per dirigersi
ordinatamente verso una strada che finiva in una nebbia bianca e
luminosa. Tutti procedevano con calma e a passi cadenzati. Sui volti
un'espressione serena mentre sussurravano un'interminabile litania:
“...fata morgana orfana maga morta infangata monta grafia
diarama di fogna ragno del fato maga fontana nata farfalla torna mia
maga di legna formata di grano mia fata franata nel mago garofana
matta fantasma di gara tango fa il mare franta nell'ago di fragole
tana fanatica maga forma bagnata gomma franata fogna ramata maga
sfatata morta nel fango di grammatica fato anamorfica gatta matta di
fragola ama il fandango fanta maria nota d'arpa franta nell'ago maga
di nota agata infornata infarto di cagna franata sul mago...”
Così
A. aprì gli occhi, muovendo oceani salati sulla terra verde
dell'iride. La
pura gioia dell'esistere precipitò
come una cascata d'acqua
fredda che entrava nella pupilla fino alle profondità dell'essere.
Per un tempo che sembrò
eterno affogò nella spirale
incontrollabile della pura
meraviglia. Ma
il rumore assordante che proveniva dall'esterno distrusse ben presto
il miraggio afferrandolo allo stomaco con una presa ferrea. La realtà
scese su di lui come un peso infinito sul
petto che gli toglieva il
respiro. I sensi si risvegliarono, portando messaggi colmi di errori,
imperfetti e incompleti.
Con
passo da ubriaco, gli occhi ancora semiaperti, sbattendo qua e là
sui mobili, si diresse verso la porta d'ingresso che continuava a
scuotersi per l'effetto dei colpi. Rimase fermo lì per qualche
tempo, malfermo sulle gambe, incerto sul da farsi. Infine, lentamente
aprì.
La
luce della lampada del pianerottolo lo accecò mentre un odore di
vomito e sporcizia lo svegliò
completamente. Un corpo informe si abbatté su di lui facendolo quasi
cadere all'indietro e per più di qualche momento l'effetto fu di uno
strano balletto eseguito lì sull'ingresso per una platea vuota.
Cominciò
a dire “Chi?...Che cosa?”, ma la risposta fu un rantolo
prolungato, seguito da una serie di conati, mentre il corpo che
teneva tra le braccia tremava in modo incontrollabile. Piano piano
cominciò a notare il soprabito sporco di un colore indefinibile, i
piedi nudi, i capelli raggrumati in configurazioni improbabili.
Allora,
con estremo sforzo, con le due mani a metà tra le guance ed il collo
provò a sollevare lentamente il viso di questo corpo. Vide due
immensi occhi
gialli, persi nel nulla, secchi, la pupilla nera dilatata
all'impossibile. Le guance scavate con le ossa del cranio che
premevano sulla pelle rinsecchita dove le rughe si diramavano dagli
occhi e dalle labbra come le crepe di un deserto.
E
ancora disse e continuò a ripetere: “Chi sei? Cosa vuoi? Perché?”
Ma infine la
risposta che non voleva accettare si fece strada nel caos. No, non
era possibile. No, non era un
mostro venuto dallo spazio, né l'incubo di
qualcun altro, ma semplicemente era suo figlio."
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