"...L’obiettivo è stato quello di creare un lavoro artistico estremo, che non tenesse conto delle convenzioni (sia della poesia che della canzone) e che affrontasse alcuni importanti temi filosofico-esistenziali, senza paura di non piacere a un pubblico. Puri e liberi. Senza compromessi. Con la convinzione però che, trattandosi di temi che riguardano la nostra esistenza e quindi tutti noi, avrebbero bene o male incontrato il favore di molti, se non di tutti..." da Vi diremo le parole che non volete sentire

lunedì 6 giugno 2016

Cap. 4 "La prima di tutte le donne" di Piero Olmeda

4 - Lasciare definitivamente morire il passato

Si era accorto che era lì? Forse, perché restò lì vicino al faro per più tempo del solito, aspettando, come se sapesse che fosse lì, ma non volesse darlo a vedere. I minuti passarono senza che nulla succedesse, il vecchio che muoveva la testa verso destra o verso sinistra a guardare qualcosa che nessuno poteva vedere.
“Ho trovato gli occhiali” disse tutto d’un colpo il bambino, che si aspettava che qualsiasi cosa dicesse sarebbe stata sbagliata.
Sorprendentemente il vecchio rispose con una voce calma e gentile: “Così posso vedere...?”
“Mah, non so... sono occhiali da vista?” Se li mise sul naso, col rischio che cadessero per terra e si rompesse l’altra lente, guardò intorno e si accorse che vedeva le ombre di un mare nero e pauroso.
“Non credo.” Se li tolse e poi aggiunse: “Sono occhiali neri. A cosa servono se non riesce a vedere?”
“Ah, sono importanti.” disse il vecchio “Perché la loro funzione non è quella di vedere meglio ma di non farsi vedere.”
“E perché non farsi vedere, a che serve?”
“La gente non vuole vedere le cose brutte, mettendoli faccio un servizio a tutti. Dico loro che non è vero che sono cieco. Non è vero che sono... Sì, non vedendo ci credono, perché non vogliono vedere...”
“Perché è triste?”
“Questa sì che è una domanda difficile!”
“Io non sono mai triste. Forse, una volta o due, quando è morto il nonno, solo perché lo erano tutti.”
“Non so se posso risponderti.”
“Perché?”
“Perché sei ancora un bambino!”
“No, non sono un bambino! Non sono un bambino!”
Il vecchio quasi sorrise: “ Più lo ripeti e più lo sei.”
“No, no... ho anche una ragazza!”
“Una ragazza... ma lei lo sa?”
“Veramente, forse glielo dico. Domani. Forse.”
“Ah! Ah! Allora non hai una ragazza!”
“E lei è sposato? Ha la ragazza?
A questa domanda seguì un lungo silenzio. Poi disse: “Sì l’ho avuta. Anch’io, in un certo senso, non le ho detto niente. Avrei dovuto... è passato tanto tempo... è solo un ricordo che si sta spegnendo... tante cose non ricordo, le ho spente io, ad una ad una.”
“Dimmi, mi dica, come è stato, come ha fatto a conquistarla?”
“Basta, adesso è tardi.”
“Ma è appena dopo l’alba!”
“È tardi.”
Il vecchio ritornò al suo consueto mutismo e senza dire un’altra parola si girò e cominciò a percorrere il tragitto all’indietro che l’avrebbe portato verso la casa nascosta tra le dune. Il bambino restò lì a guardarlo mentre la sua figura leggermente curva camminava con regolarità sulla spiaggia e piano piano rimpiccioliva sempre più nella lontananza.
Non si sarebbe dato per vinto, voleva scoprire il segreto di quell’uomo. Se avesse saputo in anticipo quello che l’aspettava, forse non l’avrebbe fatto. Sarebbe stato sicuramente meglio lasciare definitivamente morire il passato, senza farlo rivivere con la parola. Perché una volta riportato alla luce sarebbe stato impossibile dimenticarlo, evitare di scoprire che cosa significava veramente essere vivi. La maturità sarebbe arrivata in quei giorni d’estate come una pioggia a un tempo gelata e rovente, e nessuno sarebbe mai stato come prima.



La prima di tutte le donne

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venerdì 3 giugno 2016

Cap. 3 "La prima di tutte le donne" di Piero Olmeda

3 -  Il percorso della scrittura lo porta da un'altra parte

“E allora che cosa fai lì impalato a guardare? Non hai mai visto un cieco?”
“Scusa... mi scusi... io...”
“Lascia perdere le scuse e dimmi da che parte è il faro.”
“È lì a destra...”
Il vecchio mosse le braccia in un gesto a metà tra la stizza e l’impotenza e disse: “Il Sole non è ancora abbastanza alto per orientarmi con il calore. Destra? Sinistra? Alto? Basso? Che parole senza senso! Rifletti prima di parlare! Visto che ti devi scusare prendi questo braccio.” Alzò e distese il braccio destro. “E portami nella direzione giusta.”
Il bambino, esitante, pauroso, come se il braccio fosse un bastone che l’avrebbe potuto colpire da un momento all’altro, afferrò con la mano l’avambraccio, senza stringere, sfiorandolo appena. La pelle era rugosa al tatto, cascante e secca, una specie di pergamena antica e friabile che avvolgeva appena le ossa.
“Non mi devi mica accarezzare come una donna! Stringimi e portami, su.”
Con la paura che la pelle si staccasse e che il semplice tirare da una parte potesse frantumare le fragili ossa dell’uomo, il bambino cominciò ad accompagnarlo in direzione del faro, lo sguardo puntato sui piedi per evitare di farsi lo sgambetto l’uno con l’altro.
Dopo un certo di numero di metri non sapeva più cosa fare. Doveva lasciare il braccio e salutarlo? Doveva chiedergli se bastava così? La voglia di tuffarsi nel mare era grande, ma anche la paura che una qualsiasi azione potesse provocare uno scatto d’ira. Non avevano forse detto che era al confino? Che forse era un pazzo? Mentre camminava continuava a girarsi attorno per vedere se qualcuno poteva venirgli in aiuto, ma a parte il pescatore lontano nel mare e i gabbiani che volavano bassi, in quel momento sulla spiaggia non c’era proprio nessuno.
Così, nell’indecisione su che cosa era meglio fare, non fece nulla, o meglio continuò a fare quello che stava già facendo. Passo dopo passo entrambi camminarono ai margini tra la sabbia e l’acqua, lentamente, nel silenzio più assoluto.
Quando arrivarono nei pressi del faro il vecchio si fermò, borbottò qualcosa di incomprensibile, si liberò con uno strattone della mano del bambino, esclamando: “Basta! Basta! Pensi che abbia bisogno di una badante? Vai! Vai, e non farti più vedere.”
Il bambino scappò correndo, ripromettendosi di fare attenzione la prossima volta, che non voleva incontrare ancora quel vecchio.
Spesso però le promesse non vengono mantenute, i buoni propositi svaniscono come la rugiada al Sole del mattino, il caso decide che la storia sarà diversa da quello immaginata, come uno scrittore che comincia un romanzo con un'idea precisa della fine ma il percorso della scrittura lo porta da un'altra parte, in una terra magica ad incognita. Ed un cerchio appena rotto non può essere aggiustato, per quanto, con la colla dell’abitudine e il nastro adesivo della pigrizia, si tenti di riattaccarne i due capi.
Il giorno dopo infatti il vecchio rifece per l’ennesima volta lo stesso percorso, ma quando arrivò al faro trovò il bambino ad aspettarlo.



La prima di tutte le donne

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Cap. 2 "La prima di tutte le donne" di Piero Olmeda

2 - Quel giorno cominciò come tutti gli altri

Quel giorno cominciò come tutti gli altri, il Sole non era più forte o più spento, il vento spirava sempre con la stessa velocità dei giorni precedenti, i gabbiani si rincorrevano nel cielo con le solite stridenti grida. Il cielo era incredibilmente azzurro, come sempre. Il vecchio in quel momento era a metà del suo cammino dalla casa verso il faro. Fu in quel punto esatto che successe. Un bambino si mise a correre sulla spiaggia, era estate, in direzione del mare. Voleva semplicemente tuffarsi nell’acqua, ma nella sua corsa a testa bassa non vide quell’uomo che si confondeva con il colore della terra, non udì il rumore dei passi leggeri sulla sabbia ancora fresca, passi che si confondevano con il rumore del vento, così finì per colpirlo, facendolo rovinosamente cadere nell’acqua bassa. 
A volte un’auto sull’altra carreggiata sbanda venendoci incontro in una morte improvvisa, oppure urtiamo una donna per strada, ci giriamo verso di lei e riconosciamo di colpo un vecchio doloroso amore, oppure ancora un meteorite tra le infinite strade del cosmo colpisce proprio la Terra annientando una specie ed a volte un bambino colpisce un vecchio senza sapere che quel piccolo incidente avrebbe cambiato quel piccolo mondo.
Un pescatore che stava prendendo il largo sulla sua barca si girò, come preso da un presentimento, e guardò con meraviglia e stupore il corpo del vecchio e del bambino sparpagliati per terra. Un passeggero di un aereo che in quel momento stava sorvolando la spiaggia nella sua corsa verso la pista d’atterraggio, osservò con curiosità i due corpi, piccoli come formiche marroni a quella distanza. Un gabbiano planò a poca distanza dalle loro teste muovendo ritmicamente la testa a destra e a sinistra alla ricerca di cibo.
Il vecchio invece rialzò la testa per capire chi l’aveva colpito e perché, e il movimento fu così intenso e violento che il bambino, pur a terra, si trascinò indietro tremante facendo forza sulle mani e sui piedi.  La voce dell'uomo esplose così rauca, così granulosa e raschiante, che si portò le mani alle orecchie per non sentire. 
In realtà aveva detto solamente “Che cosa hai fatto? Perché non guardi dove vai?” e poi aveva aggiunto “Forza, aiutami ad alzarmi! Che cosa fai lì per terra?”
Con l’agilità dei suoi dodici anni balzò in piedi ed afferrò il braccio del vecchio cominciando a tirare. “Fermo, fermati che mi stai staccando il braccio!” gridò allora il vecchio, che con l’altro braccio si appoggiò allora alla spalla del bambino appoggiandovi tutto il peso del corpo. Questa volta fu quest’ultimo a protestare dicendo “Mi fai male! Mi fai male!” ma l’effetto composto del braccio tirato e della spinta sulla spalla fu che il vecchio riuscì infine ad alzarsi precariamente in piedi.
Il bambino fu il primo da tanto tempo che riuscì a vedere i suoi occhi. Gli occhiali neri nella caduta erano balzati a qualche metro di distanza, una delle lenti evidentemente incrinata. Restò lì a bocca aperta, congelato nonostante il caldo, a guardare quegli occhi che fissavano un punto lontano dell’orizzonte, rivestiti da una patina bianca, morti, che si muovevano impercettibilmente in direzioni casuali e senza senso.
Il vecchio era cieco.

La prima di tutte le donne

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Cap. 1 "La prima di tutte le donne" di Piero Olmeda

1 - Il cerchio dei suoi giorni

Nessuno conosceva realmente quel vecchio che esattamente alla stessa ora ogni mattina poco dopo l’alba percorreva lo stesso tragitto su quella spiaggia deserta. Ad un’ora precisa senza mai un’eccezione, la porta di legno della villa quasi sommersa dalle dune in cui abitava si apriva e compariva l’immagine di un uomo con gli occhiali neri, il viso in ombra. Restava lì immobile per qualche minuto prima di fare due o tre passi incerti sul vialetto che conduceva verso la spiaggia, quindi si fermava, dava l'impressione di guardarsi intorno, e poi si incamminava con passo più sicuro verso il mare.
I pescatori del luogo amavano raccontare storie, alcune sicuramente inverosimili, su chi fosse quell’uomo. C’era chi diceva che era ricchissimo, ma che aveva deciso di abbandonare la precedente vita frenetica per passare gli ultimi anni nella pace del sole e del vento. Altri arrivavano a dire che aveva commesso qualche efferato delitto ed ora, dopo aver scontato gran parte della pena, era stato costretto ad abitare in quel luogo di confino per un imprecisato numero di anni. C’era anche chi arrivava a dire che era un pazzo che non riusciva ad interagire correttamente con i suoi simili e, a causa di questo, gli era stato consigliato di vivere in un luogo appartato e tranquillo. Tutti concordavano però sul fatto che un qualche tipo di crimine oppure una specie di carenza ineliminabile della personalità, come ad esempio una completa assenza di umanità, doveva pur esserci, che altrimenti nessuno avrebbe vissuto quella vita fatta di giorni sempre incredibilmente uguali ai precedenti.
Comunque fosse, di queste voci lui non ne era al corrente o non se ne curava, si limitava semplicemente a portare avanti la vita che gli rimaneva, ripetendo senza fine il cerchio dei suoi giorni. 
Quando, dopo i primi faticosi passi sulla sabbia fine, arrivava a lambire con i piedi nudi l’acqua del mare, se ne stava a lungo immobile, il viso rivolto verso il vento, dando l’impressione di aspettare qualcuno che potesse venire dalle lontananze del mare. Ovviamente non arrivava mai nessuno e allora chinava la testa verso il basso, i piedi raggrinziti che cominciavano ad affondare nella sabbia, e poi si girava verso destra per percorrere il consueto chilometro di spiaggia con il suo lento, metodico passo.
Arrivato nelle vicinanze del vecchio faro si fermava, sembrava alzare gli occhi verso la cima, come se si aspettasse che la luce d’un tratto si accendesse. Come ogni giorno, per tutti i giorni che erano passati e probabilmente per tutti quelli sarebbero venuti, il faro non si illuminava. Era stato abbandonato tanto tempo prima. In quel momento forse scuoteva leggermente la testa o, forse, erano quei tremori tipici della vecchiaia. Se ne stava lì per alcuni interminabili minuti, poi tornava indietro ripercorrendo lo stesso tragitto dell’andata.
Così, giorno dopo giorno, anno dopo anno, la vita si era svolta allo stesso modo, con gli stessi gesti e movimenti. Tutto per lui si era fermato e procedeva sicuro come le lancette di un orologio infallibile. Fuori il mondo bruciava, incapace di limitarsi, preda a volte delle fiamme dolci del tempo lento o del freddo incendio del tempo che fugge, ma quell’isola di pace restava intatta e pura agli assalti della carne.
Ma niente è per sempre. Venne un giorno che il cerchio si ruppe. Fu un atto infinitesimo, un granello di sabbia che si spostò, una farfalla che sbatté le ali in un luogo sconosciuto. Fu l’ingenuità di un bambino.
Il caso volle che due percorsi si intersecassero, per cambiarsi l’un l’altro per sempre. 

La prima di tutte le donne

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mercoledì 1 giugno 2016

Prologo "La prima di tutte le donne" di Piero Olmeda

Questa è una storia che come tutte le storie non ha inizio. E questa è una storia che come tutte le storie ha una fine. Facile sarebbe e più veloce balzare alla conclusione immediatamente e tralasciare tutta l’intricata ragnatela degli eventi, magari pensando che nella fine c’è tutto il senso di ogni cosa. Che la fine si svela come un fiore a lungo trattenuto dal gridare. Ma non è così. Nella fine non c’è nulla di niente al di là del punto. Così il fantasticare oltre o sul suo significato è solo una fantasia che l’alba del mondo ci ha regalato come una dolce favola per bambini. Invece è con mano tremante che le dita battono sui tasti alla ricerca di un inizio. Ma già solo il primo tentativo ci vede persi in biforcazioni, rivoli e diramazioni successive in un labirinto inestricabile tale da far esitare la mente di fronte al trionfo del possibile. Perché di questo si tratta: l’inizio non c’è se non come la sorgente di un Nilo della mente.




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Questo libro è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e accadimenti sono prodotti dell’immaginazione dell’autore o sono utilizzati in maniera fittizia. Ogni somiglianza a eventi, luoghi o persone reali, vive o morte, è del tutto casuale

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lunedì 30 maggio 2016

Anteprima "La prima di tutte le donne" di Piero Olmeda

"...C’è una malattia senza nome. I libri di medicina non ne parlano. I sintomi non sono in alcun modo catalogati. Non c’è cura perché non si sa precisamente che cosa curare. Comincia in genere con una fame improvvisa che ti coglie nel cuore della notte oppure con la voglia di aspirare a fondo una sigaretta come se si volesse ingoiare il mondo. È un riflesso sul mare appena prima del tramonto oppure una stella che scintilla verde nel buio assoluto del cielo. Un giramento di testa al risveglio insieme ad una nausea che non ti vuole abbandonare. Un senso di vertigine mentre cammini, una pulsazione di un muscolo ogni volta in una parte diversa del corpo. Continui a dire che non è nulla, che sono solo segni senza senso, perché ogni volta è un segno diverso, un sintomo nuovo, una sensazione diversa. Ma è lì, che cresce e conquista, millimetro dopo millimetro, implacabile come il passare del tempo, finché un giorno ti svegli, un mattino, e la vedi..."


"...I gabbiani sembravano stranamente interessati a quello che stava succedendo. Scendevano in picchiata dall’alto per planare appena sopra le loro teste e per la frazione di un secondo si poteva cogliere il lampo di quegli occhi che potevano vedere così lontano. Il bambino pensò alle scene di quei film nei quali qualcuno era morto lontano nel deserto e gli avvoltoi continuavano a girare in circolo come aerei in attesa dell’autorizzazione per l’atterraggio. I gabbiani però non si muovevano in cerchi, ma scendevano velocissimi verso il vecchio e poi risalivano con le ali che sbattevano furiosamente. Si chiese se, come esistevano gli avvoltoi che giravano sopra una morte imminente, c’erano anche i gabbiani che scendevano e salivano in attesa di una nascita. Si sorprese di quel pensiero incongruo, chiedendosi come poteva pensare qualcosa del genere di fronte ad un vecchio che non dava quasi più segni di vita. Ma poi si ricordò di quella frase, morire per vivere..."



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mercoledì 6 aprile 2016

Canzonepoesia: "Forse ti ho inventato" di P. Olmeda e S. Saccocci, con Marco Strano

Forse ti ho inventato di P. Olmeda e S. Saccocci da oggi in vendita su iTunes, AmazonGoogle Music e tutti i più importanti negozi online

Forse ti ho inventato è la terza canzone frutto della collaborazione tra il poeta Piero Olmeda (testo) e l'artista/compositore Sandro Saccocci (musica).
Viene pubblicata in due versioni, una cantata da Saccocci con Marco Strano al sax ed una recitata da Olmeda, per dimostrare quanto detto nell'articolo La grande avventura della canzonepoesia:

"...Si parla spesso di canzone e poesia. Spesso si dice “questa è una canzone poetica” oppure “il testo è come una poesia”, ma se andiamo a leggere effettivamente il testo della canzone (senza ascoltare la musica) ci accorgiamo che, nella maggior parte dei casi, non potrebbe mai reggere ad una lettura e soprattutto a un reading di fronte a un pubblico..."


Marco Strano
Nota tecnica: le nuove canzoni di Saccocci-Olmeda sono state registrate in alta definizione a 24 bit 88.2 kHz con un sistema operativo linux realtime (vedere www.audio-linux.com ) e l'applicazione professionale Ardour (https://ardour.org). Le versioni a 24 bit non presentano alcuna forma di compressione e la dinamica della registrazione è quella reale. Le tracce inoltre sono state registrate al massimo livello consentito, ottenendo una distorsione molto bassa. Chi comprerà la canzone e volesse ascoltare la versione master a 24 bit, la può richiedere scrivendo all'indirizzo audiolinux@fastmail.fm allegando la ricevuta di acquisto.



Dove acquistare:

A) Versione cantata con Marco Strano:
iTunes
Amazon
Google Music

B) Versione recitata da Piero Olmeda
iTunes
Amazon
Google Music


Elenco di tutti i negozi online: iTunes, YouTube Music Key, Spotify, Amazon Music, Google Play, Rdio, Deezer, Groove, Rhapsody, eMusic, Simfy Africa, iHeartRadio, MixRadio, MediaNet, VerveLife, Tidal, Gracenote, Shazam, 7Digital, Juke, JB Hi-Fi, Slacker, Guvera, KKBox, Akazoo, Anghami, Spinlet, Neurotic Media, Yandex, Target Music, ClaroMusica, Zvooq, Saavn, NMusic, 8tracks, Q.Sic, Bandcamp

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Forse ti ho inventato


Chi sei? Chi eri? Chi sarai?
I tuoi occhi dove sono?
Li cerco nel colore dell'acqua
li cerco, ti cerco nei riflessi
che mi hai lasciato
nel vuoto che mi hai fatto

Chi sei? Chi eri? Chi sarai?
La tua pelle dove la tocco?
La cerco nel calore della terra
la cerco, ti cerco nei semi
che mi hai piantato
nell'illusione che mi hai dato

Forse in una malinconica notte
in un momento di dolce debolezza
forse, forse ti ho inventato?
Forse nel bacio del tempo assassino
nella solitudine dell'infinita notte
dall'argilla ti ho creato, forse?
Forse nel vuoto che mi abbraccia
in un momento di musica celeste
mondo mio, forse ti ho inventato?

Chi sei? Chi eri? Chi sarai?
Il tuo sorriso dove lo vedo?
Lo cerco nelle nuvole che cambiano
lo cerco, ti cerco nella pioggia
che mi ha bagnato
nella luce che mi ha illuminato

Chi sei? Chi eri? Chi sarai?
Il tuo canto dove la sento?
Lo cerco nelle voci delle strade
lo cerco, ti cerco nella musica
che per me hai sognato
nella note che per me hai inventato

Forse in una malinconica notte
in un momento di dolce debolezza
forse, forse ti ho inventato?
Forse nel bacio del tempo assassino
nella solitudine dell'infinita notte
dall'argilla ti ho creato, forse?
Forse nel vuoto che mi abbraccia
in un momento di musica celeste
mondo mio, forse ti ho inventato?

Chi sei? Chi eri? Chi sarai?
Il tuo canto dove la sento?
Lo cerco nelle voci delle strade
lo cerco, ti cerco nella musica
che per me hai sognato
nella note che per me hai inventato

Ma sei? Ma eri? Mai sarai?
La tua voce dove la sento?
La cerco nella follia delle parole

la cerco, ti cerco nei versi
che per te ho respirato
nei silenzi che per te ho cantato




© 2016 Piero Olmeda - Tutti i diritti riservati
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