"...L’obiettivo è stato quello di creare un lavoro artistico estremo, che non tenesse conto delle convenzioni (sia della poesia che della canzone) e che affrontasse alcuni importanti temi filosofico-esistenziali, senza paura di non piacere a un pubblico. Puri e liberi. Senza compromessi. Con la convinzione però che, trattandosi di temi che riguardano la nostra esistenza e quindi tutti noi, avrebbero bene o male incontrato il favore di molti, se non di tutti..." da Vi diremo le parole che non volete sentire

martedì 14 giugno 2016

Cap. 17 "La prima di tutte le donne" di Piero Olmeda

17 - Una fontana di dolce e fresca acqua

I gabbiani sembravano stranamente interessati a quello che stava succedendo. Scendevano in picchiata dall’alto per planare appena sopra le loro teste e per la frazione di un secondo si poteva cogliere il lampo di quegli occhi che potevano vedere così lontano. Il bambino pensò alle scene di quei film nei quali qualcuno era morto lontano nel deserto e gli avvoltoi continuavano a girare in circolo come aerei in attesa dell’autorizzazione per l’atterraggio. I gabbiani però non si muovevano in cerchi, ma scendevano velocissimi verso il vecchio e poi risalivano con le ali che sbattevano furiosamente. Si chiese se, come esistevano gli avvoltoi che giravano sopra una morte imminente, c’erano anche i gabbiani che scendevano e salivano in attesa di una nascita. Si sorprese di quel pensiero incongruo, chiedendosi come poteva pensare qualcosa del genere di fronte ad un vecchio che non dava più segni di vita. Ma poi si ricordò di quella frase, morire per vivere, e una calma anormale lo pervase. La meraviglia di vivere gli salì dalla pancia come una fontana di dolce e fresca acqua.
Il vecchio tossì ripetutamente, sputò, mosse le braccia a caso intorno a sé, provò a parlare, ma dalla bocca uscirono solo dei suoni gutturali e senza senso. Mentre succedeva tutto questo, il bambino non poté fare a meno di pensare agli occhi di quella ragazza che conosceva, verdi come il mare prima di una tempesta, le schegge di colore dell’iride che riverberavano al Sole. Ricordò la maglietta di lei, leggermente trasparente, che lasciava intravedere i capezzoli. Fu il ricordo del profumo di lei però che lo fece ondeggiare, come se il mare fosse arrivato fin lì in un’onda imprevista e potente. Lo prese il panico e la vergogna, perché era lì per assistere il vecchio. Era questo? Questo voleva dire essere puri come angeli che volavano sul mondo?
Si riscosse quando il vecchio riuscì a pronunciare qualche parola: “Lasciami stare... lasciami morire... è arrivato il mio tempo... la fine... è certa... vai via!... non c’è niente da scoprire... il punto è stato scritto... adesso non c’è più niente... al di là del punto... cosa stai qui a guardare?... lasciami solo... tutti... soli... finito... la storia... scritta, l’ho scritta... vai... cerca l’inizio... la sorgente... la troverai?... dov’è? Ci sono infinite sorgenti... perso... perso...”
Il bambino si avvicinò a lui, lo abbracciò e gli disse nell’orecchio, così che potesse sentire forte e chiaro: “Su, andiamo, adesso ti porto a casa, così ti distendi e poi starai meglio.” Il vecchio scosse la testa per negare, ma poi si fece prendere sotto le ascelle e, con qualche difficoltà, riuscì ad alzarsi precariamente in piedi. Si diressero verso la casa molto lentamente, arrancando sulla sabbia ondulata. A volte il vecchio si fermava o accennava a lasciarsi andare giù, come se volesse adagiarsi sulla sabbia di nuovo, ma infine con difficoltà ce la fecero ad arrivare fino alla porta di casa. Di fronte all'uscio, il vecchio disse: “Chi abita qui?”
“Un uomo che non dovrebbe lasciarsi buttare giù.” disse il bambino sorridendo. Poi, sperando che il vecchio non cadesse, andò ad aprire la porta, che non era mai chiusa a chiave, la spalancò e disse, come se fosse il vero padrone di casa: “Entra, accomodati sul divano, questa è la sua casa.”


La prima di tutte le donne

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Cap. 16 "La prima di tutte le donne" di Piero Olmeda

16 - Diventavano tutti un po’ ciechi

L’estate ormai stava volgendo al termine. L’acqua era diventata meno limpida e calma, non lasciava intravedere il fondo, era sempre torbida e sporca, su di essa piccole onde si propagavano in tutte le direzioni a causa di un vento irrequieto. Anche il colore del cielo era diverso, meno luminoso, più cupo, come se la distanza dall’orizzonte si fosse contratta e il mondo dalle dimensioni infinite dell’estate si fosse rimpicciolito in una stanza chiusa con le finestre aperte. L’ombra della notte arrivava prima, ma anche durante il giorno la stessa ombra sembrava offuscare appena gli occhi. Con il passare del tempo, tutti stavano perdendo la vista, diventavano tutti un po’ ciechi.
Ormai il vecchio parlava a lungo con il bambino, ma quando quest’ultimo voleva che continuasse la sua storia, sviava il discorso o ammutoliva o diceva che doveva tornare a casa oppure che forse aveva sbagliato a iniziare. Il vecchio inoltre sembrava meno sicuro nei movimenti, sbagliava spesso direzione, perdeva il filo del discorso, sembrava guardarsi intorno, se questo era mai possibile per un cieco.
Finché arrivò il giorno in cui si sentì male. Era cominciato come al solito, il vecchio stava camminando con il bambino accanto verso il faro, quando improvvisamente si fermò, chinò la testa e si adagiò lentamente sulla sabbia, senza una parola. Il bambino non si era accorto di quello che stava succedendo e stava parlando al vuoto quando, d’un tratto, si accorse che non c’era nessuno vicino a lui. Si girò e lo vide lì, disteso, immobile. Corse verso di lui gridando “Che cos’hai? Che cos’hai? Stai male?” ma non ottenne nessuna risposta. Gli mise le mani sulle spalle scuotendolo. Non ci fu alcuna reazione. Si guardò attorno in cerca d’aiuto, prima verso il mare, dove si poteva vedere appena una barca sul ciglio dell’orizzonte, poi verso terra, sperando che suo padre stesse camminando o correndo tra le dune. Ma non c’era nessuno. Tutti erano impegnati nel loro personale percorso od erano fermi da qualche parte a pensare al percorso da fare. In preda al panico cercò assurdamente di trascinarlo verso casa, afferrandolo malamente sotto le ascelle e tirando con tutte le sue forze. Si fermò quasi subito, pensando che forse gli stava facendo male, che non ce l’avrebbe mai fatta. Nonostante fosse angosciato alla sola idea di lasciarlo lì, si mise allora a correre di qua e di là, gridando: “Aiuto! Un uomo sta male! C’è bisogno di di un medico!” 
Nessuno rispose. La spiaggia era completamente deserta. Ritornò accanto al vecchio, si inginocchiò e sussurrò: “Non sei morto, vero?” Gli mise le mani sul petto, cercò di sentire le pulsazioni del cuore, accostò l'orecchio alla bocca per sentire se stava respirando.
“Non puoi morire adesso, devi ancora raccontarmi la storia!”
Alzò gli occhi al cielo, sperando che qualcuno lassù lo sentisse e urlò: “Non farlo morire o, se è morto, fallo rivivere! Non è giusto che muoia adesso! Non è giusto! È vecchio, ma non ha ancora vissuto! È come un bambino, è come me, ha ancora tutto il futuro da vivere...”
Nessuno ovviamente rispose. Il rumore periodico delle onde era l'unico suono che scandiva il passare inesorabile del tempo. Non c'era nulla da fare. Era morto, ne era convinto. Se ne era andato. Ma dove?
Il bambino si guardò intorno alla ricerca del vecchio. Forse era il colore grigio del mare,  il soffio freddo del vento, la polvere bianca della sabbia, la polvere verso cui tutti ritornano.
Ma allora sentì il suono dei gabbiani...


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giovedì 9 giugno 2016

Cap. 15 "La prima di tutte le donne" di Piero Olmeda

15 - Il mondo come l’avrei immaginato

“E di cosa parlate?” aggiunse il padre.
“Gli sto pian piano raccontando una storia.”
“Il suo prossimo libro?”
“No, si tratta di qualcosa di più di un libro. È una storia vera.” Ebbe un ripensamento e precisò: “O quasi.”
“Magari un giorno la racconta anche a me.”
“Sì, certo, va bene, a meno che non la sappia già.”
Per la seconda volta quel giorno il bambino vide che l’angolo destro della bocca gli si era piegato in quello che sembrava ancora l’accenno di un sorriso. O forse era semplicemente un piccolo tic della vecchiaia, una spasmo involontario di un muscolo della faccia.
Il padre a quel punto salutò e si diresse verso casa, raccomandando al bambino di non fare tardi per il pranzo. Appena il padre fu abbastanza distante da non poter essere sentito, il bambino disse: “Ma quello che mi stai raccontando è il tuo nuovo libro?”
“No, non scrivo più. Ho smesso, forse per sempre. Adesso voglio scrivere la vita.”
“Che cosa vuol dire?”
“Sento che è arrivato il momento. Doveva arrivare prima o poi. Devo tornare. Reimmergermi nel flusso Prima non ero pronto. Persino pensavo che non sarei mai stato pronto. Ora invece lo so. Lo devo fare. Sì, potrei morire, ma ne sarà sempre valsa la pena.”
Il bambino lo stava guardando con gli occhi sgranati, stupito dal fatto che si potesse morire per vivere. Il prete, quelle volte che suo padre l’accompagnava in chiesa, diceva sempre che tutti dobbiamo morire, lui l’aveva interpretato che si dovesse vivere per morire, non che per vivere veramente si dovesse prima morire. Il concetto gli fece venire un certo mal di testa, così ripartì alla carica dicendo: “Continuiamo la storia?”
“Sì, certo, facciamo la storia,” disse il vecchio e proseguì: “Cosa stavo dicendo... sì... dicevo che eravamo come angeli che volavano felici sul mondo... ma la nostra donna, ti ricordi? quella donna bellissima di cui ti stavo parlando, aveva la vita dentro di sé e, per quanto cercasse di neutralizzarla, non era in grado di trattenerla, non riusciva a fare a meno di bruciarla, una sigaretta dopo l’altra, un amore dopo l’altro...”
“Che cosa vuol dire? Non capisco.”
“Ehm... ebbe altri uomini, altre storie.”
“Anche se stava con il suo ragazzo?”
“Sì.”
“Mia mamma non è così!”
“...Immagino di no.”
“Perché lo faceva?”
“Te l’ho detto, ci sono cose che non si possono controllare. Puoi impedire ad un fiore di sbocciare, convincerlo a non farlo, usando la logica per dimostrare che sarebbe sbagliato? Puoi dire al Sole di non sorgere perché non vuoi più vedere il mondo sotto la sua luce impietosa? No, no, non si può. Mi ricordo, c’erano dei giorni che i suoi occhi erano così luminosi e tersi, di un azzurro così profondo e soffice. Mi faceva vedere il mondo come l’avrei immaginato...”
Su quelle ultime parole si fermò, forse accorgendosi che si stava ripetendo. Il bambino avrebbe voluto togliergli gli occhiali per vedere i suoi occhi. Mentre il silenzio si prolungava cominciò a pensare come avrebbe immaginato il mondo. La sola, semplice domanda lo cambiò. Si guardò intorno, smarrito.


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Cap. 14 "La prima di tutte le donne" di Piero Olmeda

14 - Quelle fiabe che non finiscono mai bene

Anche questa volta però il bambino lo interruppe: “Ormai sono diventato grande per le fiabe.”
“Questa non la leggerai su nessun libro. Diciamo che è una fiaba per adulti.”
“Esistono fiabe per adulti?”
“Sì, sì, sono quelle fiabe che non finiscono mai bene.”
“Perché, è finita male?”
“Certo, non ti ricordi, il protagonista diventerà cieco.”
“Chi decide il finale?”
“L’Autore. Quando il finale è scritto, non si può più cambiare.”
“Sei sicuro? E se non fosse il finale? In qualche serie TV a volte il protagonista muore, ma poi nella puntata successiva si scopre che non era vero.”
“No, non può essere...”
Il vecchio stava forse per dire qualcosa d’altro ma un piccolo rumore lo distrasse. Si girò verso l’entroterra e si accorse subito che qualcuno stava camminando sulla sabbia verso di loro. Anche il bambino si volse in quella direzione e vide suo padre che li stava raggiungendo con un passo fin troppo veloce. Avrebbe voluto scappare, ma non c’era alcun posto dove nascondersi. Restò lì immobile, tremando leggermente, ormai sicuro che quello che doveva succedere sarebbe successo, non aveva alcuna possibilità di cambiarne l’esito.
Suo padre si fermò a pochi passi dall’uomo e non disse niente. Restò fermo a guardarlo per alcuni lunghi interminabili secondi. Infine disse: “Io sono il padre.”
Dopo che le sue parole si dispersero nel vento, il bambino restò a bocca aperta perché gli parve che fosse una cosa troppo banale da dire.
Il vecchio gli porse la mano dicendo: “Piacere di conoscerla.”
Il braccio restò sospeso nell’aria per troppo tempo. Gli avrebbe stretto la mano? O gli avrebbe urlato contro di lasciare stare suo figlio? Avrebbe interrotto per sempre quegli incontri di ogni mattina? Avrebbe cambiato il corso degli eventi?
No, non fu così, ciò che era iniziato non poteva più essere interrotto. Dopo un attimo di esitazione, strinse la mano del vecchio, che si presentò dicendo: “Io sono nessuno. Io non sono nessuno.” Il bambino colse l’accenno di un sorriso all’angolo della bocca. Ma probabilmente era lui soltanto che poteva vederlo.
Così accadde che suo padre fu il primo a chiedere quello che nessuno fino ad allora aveva mai osato: “Come è capitato qui su questa spiaggia?”
“Volevo stare da solo.”
“Le posso chiedere il motivo?”
“Sono uno scrittore. Avevo bisogno di un posto tranquillo dove scrivere una storia.”
“Uno scrittore... ma ha già pubblicato dei libri?”
“Sì, tanti. E hanno avuto un certo successo. Non che fosse meritato... Ho scritto per anni quello che piaceva al pubblico, cioè delle divertenti sciocchezze, adesso invece voglio scrivere una storia per me stesso.”
“Capisco.”
Dopo quest’ultima parola seguì un silenzio prolungato, il bambino che guardava il vecchio a bocca aperta, sorpreso da quello che aveva appena detto.


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Cap. 13 "La prima di tutte le donne" di Piero Olmeda

13 - La più triste delle più belle storie

Se ci fosse stato qualcuno a osservare quello che stava succedendo quel giorno sulla spiaggia, sarebbe stato perlomeno perplesso. Un bambino con gli occhi chiusi lanciava un pallone approssimativamente nella direzione di un vecchio con gli occhiali neri, a volte mancandolo completamente, a volte colpendolo in varie parti del corpo, la testa, una gamba, la pancia, la parte bassa del ventre. Dopo che aveva lanciato il pallone, il bambino apriva gli occhi, andava a raccoglierlo, lo portava correndo nelle mani del vecchio e ritornava nella sua posizione originale, richiudendo gli occhi. Nessuno dei due riusciva a catturare il pallone con le mani gli arrivava, a parte una volta che, per pura fortuna, il vecchio lo lanciò in modo che arrivasse esattamente nelle mani dell’altro. Come per un tacito accordo mai pronunciato, in quel momento il gioco finì, con il bambino che gridò “Ce l’ho fatta! Ce l’ho fatta!” e subito dopo corse verso l’acqua per tuffarsi nelle acque fresche del mare.
Quel giorno fu un giorno diverso da tutti gli altri, perché il vecchio, per la prima volta dopo tanto tempo, non andò verso il faro, ma continuò a camminare su e giù in quel tratto di spiaggia dove avevano giocato al pallone, irrequieto, come se improvvisamente non sapesse più dove andare.
Il bambino, quando uscì dall’acqua, si diresse direttamente verso di lui e disse: “Quella storia, non mi hai raccontato ancora niente. Perché sei stato così male quando ti ha detto... mi pare... che era caduta nelle tue braccia...?”
Il vecchio scosse la testa, come se volesse dire di no, o forse era un gesto di sconforto, perché si rendeva conto che non c’era proprio nulla da fare di fronte alla tenacia e alla testardaggine di un bambino, che avrebbe dovuto capitolare, sarebbe stato costretto a dire tutto, magari anche quello che aveva taciuto a se stesso. Forse capiva che nel momento in cui l’avrebbe detto sarebbe diventato reale di nuovo, il passato avrebbe riconquistato il presente come un’onda inarrestabile e così il futuro sarebbe cambiato per sempre. 
Sospirò, perché fu costretto ad accettare la realtà di quello che stava per dire, e con essa tutto il dolore che per anni aveva cercato di spegnere in quei cerchi senza fine che disegnava sulla spiaggia.
Con il tono di chi stesse per raccontare la più magica delle fiabe, il più importante di tutti i racconti, la più triste delle più belle storie mai raccontate, cominciò: “C’era una volta, una... terza volta in un paese lontano, al di là degli alberi, dove il mare si stende infinito fino oltre l’orizzonte, una donna bellissima, i cui lunghi capelli neri scendevano sulla morbida pelle delle spalle per arrivare fino sui fianchi. Stava insieme ad un uomo che l’amava intensamente, l’accudiva, le era fedele e non pensava a nessun’altra donna. Lei lo stimava, lo apprezzava, lo considerava l’uomo ideale che una donna potesse volere, però non l’amava. Erano altri tempi, quando la fiamma della vita ti ardeva dentro come un bambino che volesse uscire al più presto per camminare per le strade del mondo. Non c’era verso allora di fermarlo, sarebbe stato come dire al cuore fermati! o al respiro smettila! Semplicemente a quel tempo non era possibile fare a meno di essere se stessi. Eravamo giovani... diversi, puri, esseri di un altro pianeta che provavano sentimenti che ora è difficile comprendere interamente... forse, se ci incontrassimo adesso, non ci riconosceremmo...”


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mercoledì 8 giugno 2016

Cap. 12 "La prima di tutte le donne" di Piero Olmeda

12 - Contento di sentire il rumore del tempo che passa

Dapprima non vide nulla e non sentì alcun rumore. Le imposte erano chiuse e dall’esterno filtrava ben poca luce. Fece un passo avanti, un altro ancora. Si fermò quando sentì un rumore di vento che andava e veniva. 'Ma come poteva essere?' si chiese. Dentro una casa con le finestre chiuse non ci poteva essere del vento. Sentiva qualcosa scricchiolare e gli sembrava che lo facesse al ritmo del vento. D’un tratto però tutti i rumori cessarono e un brivido gli corse lungo la schiena. Si disse che doveva essere forte. Si ricordò di qualcuno che aveva scritto: è facile per i forti essere forti.
La voce esplose nel silenzio, sonora come una raffica di grandine, dolorosa sulla faccia: “Che cosa fai qui? Che cosa vuoi?”
Colto alla sprovvista, non seppe rispondere se non con qualche suono inarticolato dalla bocca. Poi fece un passo indietro ed anche lui esclamò: “Che cosa fai? Che cosa fai qui?”
“Ah, Ah, tu lo chiedi, che sei in casa mia! Perché non ritorni da tuo padre?”
“No... io... volevo dire... che cosa fai da solo seduto al buio?”
“Già, che faccio, bene, ecco: penso. È la cosa che faccio meglio. Pensare. Guardare. Il mondo che scorre intorno a me. Senza entrare nel flusso. Dall’alto. Da sotto. Dal di fuori.”
“Ma non sei morto?”
“Ti sembro morto!? Sono fin troppo vivo, è per quello che non posso uscire. Di colpo mi sento un po’ più vivo. Non voglio essere vivo... voglio tornare a essere come ero prima.”
“E come eri prima?”
“Lontano. Distaccato. Non felice, che quello è impossibile, ma quieto, contento di sentire il rumore del tempo che passa...”
“Non sei stato contento di avermi conosciuto?”
Questa volta il vecchio non rispose subito, esitò, chiedendosi forse che cosa poteva dire e che cosa non dire, quale lingua doveva usare per farsi comprendere. Sorprendentemente disse:
“Hai ragione, forse sono morto, o meglio ero morto, perché mi stavo muovendo in cerchio, senza mai cambiare, senza mai partire per la tangente. Hai ragione. Anche adesso però, mi basta guardare il muro che ho davanti.”
Il bambino fece un passo avanti, seguito da un altro passo, prese il vecchio per il braccio e disse: “Perché non andiamo fuori a giocare con il pallone?”
“...Il pallone?”
“Sì.”
Provò a ridere, ma siccome non lo faceva da tanto tempo, gli uscì dalla bocca una serie di suoni gracchianti e stonati.
“Non ti ricordi? Io sono cieco!”
“Va bene, allora gioco con gli occhi chiusi. Così siamo pari.”
Questa volta rise con più convinzione e il suono che ne uscì fu un attimo più melodioso. Dopo un serie di borbottii si alzò a fatica, si voltò verso la porta, disse: “Vieni con me. Attento a non sbattere contro i mobili.” Detto questo, per una strana ironia della vita, lui, cieco, accompagnò il bambino, che vedeva, verso la porta, l’aprì, lo condusse verso quella parte della spiaggia vicino al mare dove la sabbia era più dura e disse: “E il pallone?”


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Cap. 11 "La prima di tutte le donne" di Piero Olmeda

11 - La Terra non può smettere di girare

Su quella spiaggia abbandonata e sempre uguale a se stessa qualcosa cambiò.
La mattina successiva l’uscio della porta della casa non si aprì, non uscì il vecchio per percorrere il suo consueto tragitto prima verso il mare e poi verso il faro. I pochi pescatori del luogo che, mentre erano al largo alla ricerca disperata di pesci, si erano ormai abituati a non controllare più l’orologio per conoscere l’ora, ma a guardare in quale posizione si trovava il vecchio nel suo eterno ciclico percorso, guardarono smarriti verso la spiaggia per la prima volta vuota. Fu come se il sole quella mattina non fosse sorto, come se la terra, stanca del suo continuo insensato girare intorno a se stessa, si fosse infine fermata. Un silenzio profondo aveva conquistato mare e terra, le onde stanche di avanzare e recedere sulla sabbia bagnata, i gabbiani fermi a guardare tutto attorno con i becchi scattanti sulla cima del faro, il vento che aveva esalato l’ultimo respiro ed era sparito nel nulla.
Continuò così per giorni e giorni, finché qualcuno cominciò a pensare che forse era successo qualcosa. Qualcuno arrivò a dire che il vecchio era morto durante la notte, che bisognava chiamare un’ambulanza o la polizia per entrare nella sua casa per controllare. Qualcun altro suggerì che era stato prelevato dalla polizia per scontare gli oscuri crimini che sicuramente aveva commesso. I pescatori invece, mentre portavano le loro piccole barche sul mare, guardavano la superficie dell’acqua alla ricerca di un corpo galleggiante, in cuor loro sicuri che era arrivato tanto tempo fa in quella spiaggia perché voleva morire nel mare, la loro personale madre dolce e spietata. Nessuno però fece nulla, per paura, per abitudine o per semplice indifferenza, nessuno pensò di fare la cosa più banale e più semplice, cioè bussare alla sua porta.
Il bambino nel frattempo mangiava ogni mattina la colazione sul tavolo della cucina di casa senza mai dire una parola, anche se ne aveva moltissime che si stavano accumulando. Ma, come la Terra non può smettere di girare, le onde del mare non possono costringersi a non andare avanti e indietro, il vento, come il respiro di una cosa viva, non può essere fermato per più di un certo intervallo di tempo, come gli uccelli non possono resistere alla voglia di lanciarsi verso l’alto con le zampe, per salire con le ali verso il cielo, così il bambino, una mattina che suo padre non c’era, corse veloce sulla sabbia ondulata per bussare alla malridotta porta della casa del vecchio.
Dopo averlo fatto, non successe nulla. Avrebbe aperto? Stava veramente male? Non voleva più vederlo? Era arrabbiato con lui, perché aveva obbedito a suo padre? E la domanda che non voleva porsi, ma restava in agguato appena sotto il livello della coscienza, pronta a colpire al primo istante di debolezza: era morto?
Nessuno venne alla porta, nessuno rispose. Il silenzio era così insopportabile che il bambino, in un impeto di rabbia, colpì con forza la porta con il pugno. Si fece male, ma la porta si aprì lentamente con un sinistro cigolio, mostrando al di là una stanza immersa nel buio. Si fece forza, si disse che ormai era grande, che poteva affrontare il buio e tanto altro, ed entrò.
Quello fu, dopo quel casuale scontro sulla spiaggia, il secondo evento che diede inizio a tutta quella catena di effetti che avrebbero cambiato entrambi per sempre.


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martedì 7 giugno 2016

Cap. 10 "La prima di tutte le donne" di Piero Olmeda

10 -  Un mistero che li legava indissolubilmente

Dopo che ebbe pronunciato queste parole, si sentì una voce maschile potente, che sembrava provenire da dietro le dune: “Che cosa stai facendo? Torna a casa! Non hai ancora fatto colazione!”
Il bambino si guardò i piedi, indeciso, poi disse: “È mio padre.” Come se questa affermazione spiegasse tutto e qualcosa di più. Restò in silenzio ancora un po’ ed infine aggiunse, titubante, in un sussurro appena percepibile: “Lui non vuole.”
“Che cosa hai detto?”
“Lui non vuole. Non vuole che venga qui.”
“Vuoi dire... non vuole che tu venga sulla spiaggia?”
“No, no...”
“...E allora?”
“Sì, no, non vuole che parli con... te, con lei cioè.”
A quest’ultima risposta seguì un lungo silenzio. Gli unici suoni erano il respiro ansante del vecchio, il lieve rumore delle onde, il fruscio della sabbia sotto la spinta del vento leggero.
“Perché?” disse infine e sembrò una parola pesante, che potesse sprofondare per raggiungere il centro della Terra.
“Dice che nessuno sa chi sei. Che io non so chi sei. Dice che non bisogna fidarsi degli sconosciuti.”
“Solo questo?”
“Non so se devo dire dell’altro...”
“Parla, parla! Le parole non fanno mai male a nessuno.”
Il bambino lo guardò a bocca aperta come di fronte ad una colossale bugia ed esclamò: “Ma mi hai appena raccontato di quelle cose che ti aveva detto la ragazza...”
Questa volta il tono del vecchio si alzò, ma invece di una voce potente ne uscì una specie di rantolo rauco e incerto: “Dimmi cosa ha detto!”
Camminando all’indietro, lentamente, passo dopo passo, disse tutte quelle parole che aveva dentro e che si erano prima ingolfate in un groppo alla gola: “Dice che forse sei un pazzo, che alcuni dicono che sei un bandito, ha usato anche qualche altra parola, sì, ha detto che non è normale che un vecchio parli solo con un bambino...”
Si fermò di colpo perché successe una cosa che non si sarebbe mai aspettato. Aveva pensato, nella sua ingenuità, che i ciechi non potessero vedere gli orrori del mondo, che uno schermo di buio li proteggesse come una madre amorosa non solo da ciò che non potevano vedere, ma anche dalle parole che erano in grado di sentire, da quelle fiamme invisibili che bruciavano di sensazioni la fragile pelle.
Fu quindi con meraviglia che vide una lacrima scendere lentamente sulla guancia rugosa dell’uomo e scoprì così che i ciechi potevano piangere. Di dispiacere? Di rabbia? Di malinconia? Di qualche malattia? No, non voleva saperlo qual era il vero motivo, si girò e corse via verso la sicurezza della sua casa con la convinzione di essere stato, se non il motivo, almeno lo strumento di un’azione sbagliata, perché era sicuro, con le certezza che si può avere solo in quegli anni, che non era un pazzo o un bandito, ma era qualcosa d’altro, che doveva scoprire, ancora non conosceva che cosa, ma c’era, lo sentiva, un mistero che li legava indissolubilmente.


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Cap. 9 "La prima di tutte le donne" di Piero Olmeda

9 - Una barca piena di gente che cerca di salvarsi

“Non ci vedevamo da un po’ di tempo. Quello che disse mi ferì profondamente. Ho sempre avuto una grande fiducia negli altri. Ho sempre pensato che siamo  tutti come naufraghi nella stessa barca, che non ha senso pensare di buttare qualcuno fuori nell’acqua pensando di salvarsi. Io allora dovetti annaspare nelle acque fredde e quando cercai disperatamente di issarmi a bordo qualcuno mi pestò le mani per non farmi salire. Vedi... questo mondo, che gira intorno a se stesso vorticosamente, girando contemporaneamente intorno al Sole, muovendosi insieme a tutto il Sistema Solare verso un punto imprecisato della galassia, non è altro che una barca piena zeppa di gente che cerca di salvarsi, di non essere gettata nel vuoto nero dello spazio, che cerca di sopravvivere alle onde mostruose del nero nulla che ci circonda, che vorrebbe volentieri mangiarci e farci sparire per sempre. La vita è stata un caso, un incredibile inaspettato stupendo cancro del nulla, un'impossibilità logica nel deserto di stelle. Non c’è nessuno lì fuori ad aspettarci. Così ho sempre sentito una partecipazione, una vicinanza, una condivisione di interessi con gli altri esseri umani, perché abbiamo tutti gli stessi problemi, lo stesso fondamentale problema. Dove facciamo andare questa barca? Riusciremo a farla andare dove vogliamo o saremo portati via dalla corrente? Poiché ciascuno di noi è intimamente solo, alla fine tutti siamo incredibilmente vicini e...”
Il bambino stava diventando inquieto. Mentre il vecchio parlava, muoveva la sabbia con i piedi con qualche colpo di tosse qui e là. Lo interruppe dicendo: “Non mi stai dicendo nulla, non mi hai ancora detto cosa era successo.”
Il vecchio, fermato mentre stava concludendo una frase, non parlò più. Forse si rese conto che con il passare degli anni il discorso tendeva a partire per la tangente del soliloquio o forse si accorse che parlava più a se stesso che al bambino che aveva di fronte. O anche, probabilmente, che alla sua età non poteva essere più compreso, come lui stesso non poteva comprendere un altro molto più giovane di lui. Forse il suo linguaggio era sbagliato o caduto in disuso negli ultimi anni, tanto che ormai era diventato una serie di suoni senza senso. Le parole che non aveva detto per anni erano uscite tutte nello stesso momento, troppo in fretta, troppo banali, troppo vere. Disse imbarazzato: “...Già... Sì...” E aggiunse: “Riesci a vedere? Forse ci sono dei piccoli pesci che nuotano vicino alla riva.”
L’acqua, quel giorno, era chiara e trasparente come mai era stata prima. 
“Dove?”
“Forse lì, qui, là, non so, vieni, entriamo nell’acqua. Mi ricordo, tanti anni fa, di solito erano piccolissimi! Cambiavano direzione velocemente. Sono dei piccoli pesci che si muovono a zig zag. Guarda bene, io non posso, guarda per me, hanno delle piccole macchie gialle sul dorso.”
Il bambino entrò nell’acqua e tentò di prenderli di sorpresa. Non ci riuscì, naturalmente, perché scapparono tutti, come se gli passassero attraverso le mani. Dopo incominciò a schiaffeggiare l’acqua con le mani facendola schizzare sul corpo del vecchio.
“E allora, mi racconti?”
“Sì, sì, c’era una seconda volta che lei disse d’improvviso: ’Stavo così male che sono caduta nelle braccia di...’”
“Di chi?”
“Nelle mie. Nelle mie braccia.” disse il vecchio, chinando la testa.



La prima di tutte le donne

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Cap. 8 "La prima di tutte le donne" di Piero Olmeda

8 - La bellezza di quelle prime ore

Quando il racconto finì anche il vento smise di spirare.  Un sole intenso fece la sua comparsa tra due cumuli di nuvole nere riscaldando l’aria fredda del mattino. La bellezza di quelle prime ore stava nel fatto che ogni volta sembrava un nuovo inizio. I giorni passavano stanchi uno dopo l’altro ma in quei minuti poco dopo l’alba sembrava che tutto fosse ancora possibile, che fosse possibile ricominciare una seconda vita, eliminare il ricordo per sempre, rifarsi di nuovo alla luce chiara di un nuovo giorno. Alla bellezza di quei momenti seguiva però sempre l’assoluta nudità del sole di mezzogiorno, che illuminava pietrificandolo il futuro, costringendo il vecchio a ripetere gli stessi movimenti, le stesse azioni, gli stessi circolari pensieri. Non aveva scampo in quel suo inferno personale. Era stato condannato a ripetere sempre le stesse cose, a percorrere sempre le stesse strade attraverso il suo personale labirinto, senza aver mai la possibilità di uscirne. 
È per questo che, dopo aver finito il racconto della malattia, si volse verso il bambino come in attesa, come se si aspettasse che gli indicasse la strada che l’avrebbe ricondotto tra le strade del mondo.
Quest’ultimo invece si mise a corrergli attorno e, mentre correva, gli fece una domanda difficile, a cui non sarebbe stato facile rispondere: “Ma cosa c’entra? È stata una donna? È lei che ti ha passato il virus? È diventata cieca anche lei?”
Il silenzio si protrasse a lungo, troppo a lungo. Il vecchio cercò le parole giuste dappertutto senza trovarle. Cominciò a balbettare, incerto tra la verità diretta e indiretta, tra la sincerità e la dolce falsità, tra la fantasia e il realismo. Infine disse: “Fu solo il caso. Una cosa successe prima ed un’altra dopo. Se qualcosa accade prima di qualcosa d’altro non è detto che la prima sia la causa e la seconda l’effetto. Ad esempio... c’è un rapporto tra una farfalla che si è posata su un fiore di melo in qualche paese lontano e il frutto che è cresciuto sull’albero del cortile di casa?” Si fermò e poi chiese: “...Mi credi?”
Il bambino si fermò nel suo girotondo interminabile e disse: “Non so. Ci devo pensare.” Si lasciò cadere sulla sabbia bagnata e con voce esitante aggiunse: “Non so. Dovresti raccontarmi quello che è successo prima.”
“Prima... no, non te lo posso dire.”
“Ma me l’avevi promesso, l’avevi promesso!”
“No, no.”
“Allora perché mi hai raccontato degli occhi?”
“Pensavo che volessi saperlo.”
“Io aspetto, non mi muovo finché non mi hai detto tutto. Ecco, mi metto qui, proprio qui, così non puoi continuare la passeggiata verso il faro.”
Il vecchio alzò le due mani in alto, sembrò quasi che volesse colpire il bambino, poi le abbandonò sui fianchi e chiese: “Che cosa vuoi sentire?”
“Che cosa vuoi dire?”
“Vuoi una storia o la verità?”
“La verità, la verità!”
“Già... adesso te la racconto, se proprio vuoi.”
“Sì, comincia.”
“C’era una volta una ragazza... cioè... una volta prima dell’altra volta che ti ho raccontato... c’era una seconda volta… il giorno prima di quella notte che mi attaccò il virus, che presi quella terribile... influenza agli occhi. Eravamo in auto con alcuni amici a chiacchierare. Non la vedevo da un po’ di tempo...”



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Cap. 7 "La prima di tutte le donne" di Piero Olmeda

7 - Mi devi raccontare la storia vera

Nei giorni che seguirono il vecchio continuò ad alzarsi all’alba, a percorrere lo stesso tragitto come aveva sempre fatto per tanto, tanto tempo. Un osservatore che avesse filmato il suo percorso giorno per giorno, se avesse poi appuntato i nastri uno sopra l’altro, avrebbe notato che il tempo complessivo continuava ad aumentare. Quando usciva si fermava a lungo sulla soglia, nel momento in cui arrivava ai limiti dell’acqua stava un po’ di più con la testa rivolta verso l'orizzonte, di fronte al faro indugiava per qualche secondo di troppo. Forse anche la maniera di camminare era diversa, sembrava più curvo, il movimento ritmico e stanco delle gambe più lento, la testa che si girava più spesso.
Per parecchi giorni il bambino non andò al mare. Se ne stava a giocare da solo tra le dune. A volte si girava per un attimo, ma ritraeva subito lo sguardo, come se guardando commettesse un peccato di cui nessuno prima gli aveva parlato.
Ma venne un giorno che nuvole nere si espansero d’improvviso sul mare e fulmini caddero sulle acque mosse e grigie di sabbia. Il caso volle che, proprio mentre il vecchio stava camminando nel suo percorso giornaliero verso il faro, un colpo di vento inaspettato e rabbioso lo fece sbilanciare e cadere rovinosamente nell’acqua. La fortuna, o la sfortuna, volle che in quel preciso momento il bambino stava dando un’occhiata furtiva verso la spiaggia.
Non ci pensò due volte. Corse a tutta velocità attraverso la sabbia e, nonostante l’uomo fosse molto più alto di lui, riuscì a prenderlo, a sollevarlo, a riportarlo in piedi, perché era alto ma leggero, forse pesava addirittura meno di lui.
Il vecchio borbottò: “Grazie. Grazie, ma adesso lasciami, posso fare da solo.”
Non ci credette, così continuò a tenerlo in piedi, mentre le raffiche li facevano entrambi oscillare come canne al vento.
“Sei ancora arrabbiato con me?”
“Un poco.”
“...Va bene. Avevi ragione. Non era la verità.”
“Mi stavi prendendo in giro?”
“Sì, sì. Era la scena di un film che avevo visto.”
Il ragazzo sorrise e disse: “Allora mi devi raccontare la storia vera.”
“Certo. Aspetta un attimo. Devo ricordare. Ormai la mia testa sta perdendo i ricordi fuori dalle orecchie...”
“Sì sì... okay, aspetto. Speriamo che non piova.”
“È solo fumo senza arrosto. Non pioverà, credimi.”
“...Allora...?”
“Va bene, ricominciamo. C’era una volta un uomo...”
“Sempre solo?”
“No, no questa volta, cioè quella volta, facciamo così, non era solo, era semplicemente malato.”
“Continua!”
“C’era una volta un uomo malato che sedeva su una vecchia sedia di legno nella veranda di una casa di campagna. Teneva tra le mani tremanti il risultato di una diagnosi medica. Aveva contratto una specie di virus diceva, e questo virus aveva attaccato gli occhi ed era diventato cieco...”
Continuò a raccontare per parecchio tempo, mentre il bambino l’ascoltava a bocca aperta senza interromperlo mai.


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lunedì 6 giugno 2016

Cap. 6 "La prima di tutte le donne" di Piero Olmeda

6 - C’era una volta un uomo solo

“C’era una volta un uomo solo, abbandonato sulla strada. Stava seduto con la schiena contro un muro e teneva le mani premute forte sugli occhi. Del sangue colava giù dalle mani, un rivolo proseguiva sull’avambraccio fino a cadere goccia a goccia dal gomito. Era notte, la pioggia cadeva dal cielo bagnandogli i capelli e, mescolandosi al sangue rosso brillante, lo scolorivano in un marrone spento. Gli unici suoni erano quelli della gocce che cadevano su una pozzanghera d’acqua sporca...”
Il bambino iniziò a preoccuparsi. “No, no, fermati” disse. “Mi stai raccontando un film dell’orrore?”
Il vecchio, infastidito, si interruppe un momento, per proseguire poi con la voce un po' più alta: “...La sirena di un’ambulanza ruppe definitivamente il silenzio. A quel suono l’uomo cominciò a singhiozzare, ripetendo senza fine la stessa serie di parole: ‘Non voglio vedere, non voglio più vedere, non voglio essere visto, non voglio essere visto mai più.’ Quando l'ambulanza si fermò davanti a lui sulla strada, gli infermieri si precipitarono a soccorrerlo. Fecero una grande fatica a staccargli le mani dagli occhi. Quando ci riuscirono, quello che videro era terrificante: dove dovevano esserci gli occhi videro due piccoli laghi di sangue...”
Il bambino non ce la faceva più. “Basta! La smetta! Non voglio sentire. Non voglio più sentire...”
Il vecchio però continuò imperterrito: “Una donna senza divisa, forse era il medico, non si trattenne dal chiedere: ‘Chi è stato? Chi l’ha conciata così?’ L’uomo alzò un poco la testa e allungò la mano insanguinata come a indicare qualcuno. La donna si girò per guardare, ma non vide nessuno sulla strada deserta a quell’ora della notte. Stava per girarsi quando una voce rotta disse, con una sorta di meraviglia, come se l’avesse scoperto per la prima volta: ‘Io. Sono stato io. Sono io. Il colpevole. Non. Voglio. Più. Vedere.’ Sul momento nessuno ci credette, perché chi mai avrebbe avuto il coraggio e la forza di massacrare in quel modo, da solo, i propri occhi?”
Il bambino stava per scappare. Di fronte alle parole del vecchio, si era già allontanato di uno o due passi ed era pronto a correre velocissimo sulla sabbia per tornare a casa. Prima di farlo esclamò: “No! Non può essere così! Mi stai prendendo in giro! Non voglio una storia, voglio la verità!”
Il vecchio sospirò, girò la testa a destra e poi a sinistra quasi cercando qualcuno che confermasse le sue parole, sospirò una seconda volta e in un tono quasi inudibile, più basso del rumore delle onde, sussurrò: “La verità è questa. O meglio la cruda verità. Il fatto. La fine. Non posso cambiarla. Nessuno la può cambiare.”
Il bambino si girò allora verso le dune e cominciò a correre urlando “Non è vero! Non è vero!” finché il suono si perse nella distanza come un’eco lontana.
L’altro restò lì, con il respiro che faceva un rumore più forte del solito, il cuore che batteva per la prima volta più in fretta. Dopo tanti anni aveva perso il suo solito lento ritmo. Il passato l’aveva sfiorato ed un brivido terribile era salito lungo la schiena come il presagio di un’alba nera. 



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Cap. 5 "La prima di tutte le donne" di Piero Olmeda

5 - La cosa più bella è l’inizio

Il giorno successivo il bambino aspettò il vecchio sul gradino della porta d’ingresso.
Quando la porta si aprì, esattamente alla stessa ora degli altri giorni, il vecchio rimase fermo sulla soglia per qualche minuto, come aveva sempre fatto per un tempo immemorabile. Il profumo del mare assalì le sue narici, portato dal vento, e con esso ricordi di voci squillanti, sussurri caldi nell’orecchio, corse e salti, l'ebbrezza di rotolarsi felici sulla sabbia e l'angoscia dell’odore della pelle di una ragazza che lo stringeva. Come sempre in tutti quei giorni sempre uguali, resistette alla tentazione di lasciarsi piegare dal vento, di aprire quella porta interna alla luce grigia del ricordo, che altrimenti si sarebbe perso per l’eternità in quel mondo ormai spento, vivo di una morta vita, scolorito come la pellicola di un vecchio film a colori.
Dopo aver chiuso quegli occhi interni che avrebbero potuto vedere, cominciò a fare il primo passo, ma si fermò a metà del movimento, perché sentiva con la sensibilità di un cieco che qualcosa era cambiato.
Allora esclamò: “Che cosa fai qui?”
Il bambino trasalì, che non si aspettava di essere scoperto subito e balbettò: “Sono venuto a trovarla... a trovarti...” Poi aggiunse, quasi a giustificazione: “I miei genitori oggi non ci sono... non sapevo cosa fare...”
“Non sei troppo piccolo per darmi del tu?”
“Pensavo fossimo amici ormai.”
“Amici... ma ci siamo visti... solo due volte! E, detto tra noi, la prima volta non è stato il migliore degli incontri, non trovi? Mi vieni a trovare solo quando non hai niente da fare?”
 “No, io, ecco, ho detto una bugia, i miei genitori non sono andati via, stanno solo litigando.”
“Ah...” disse il vecchio, e al bambino parve di vedere l’ombra, ma soltanto quella, di un sorriso. “Allora seguimi e fai attenzione, cerca di non farmi inciampare.”
Detto questo, si incamminò verso il mare con il suo solito passo lento, con la sicurezza di chi aveva fatto quel percorso infinite altre volte. Si fermò quando sentì la sabbia bagnata e l’acqua che gli accarezzava i piedi.
“Vuoi ascoltare una storia d’amore?”
“Sì per favore, fallo, scusi, lo faccia, per favore!”
Il vecchio si voltò e al bambino parve che potesse realmente vederlo quando disse: “Sei sicuro che non ti annoierai?”
“No, no!”
“Non credo che sei abbastanza grande per una storia del genere.”
“Ho dodici anni! Ho visto tante cose!”
Questa volta il vecchio rise veramente, ma fu più un singulto, un singhiozzo, che una risata chiara e semplice.
“Dopo però non sarai più lo stesso. Non hai paura?”
“No, non ho paura....di che cosa dovrei avere paura?”
Il silenzio che seguì fu così lungo che il bambino pensò che si fosse addormentato. Non era vero che i vecchi a volte dormivano in piedi? Che per anni vivevano ai limiti tra il sonno e la veglia? Così si spaventò e si ritrasse indietro quando il vecchio disse: “E così sia. Partirò dalla fine. La fine è poco interessante. La cosa più bella è l’inizio. Il mistero, il perché che non si trova. Le risposte.”
Cominciò a raccontare.



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